FORSE DOVREMMO TENERE IL COLOSSEO ACCESO TUTTI I GIORNI NON SOLO QUANDO LE ESECUZIONI AVVENGONO NEGLI STATI UNITI....... |
Il segreto dell'economia cinese |
Il segreto è semplice: schiavismo. La mano d'opera (tutti detenuti condannati ai lavori forzati) è a costo zero e talvolta anche la materia prima (i cadaveri dei poveretti finiscono per alimentare l'industria cosmetica e il traffico di organi). Ricordate i filmati delle atrocità naziste in cui si vedevano lumi e giacche di pelle umana fatte dalla pelle degli internati dei lager? Beh, queste cose accadono ancora, ma Hitler non c'entra niente... In Cina i detenuti sono costretti ad orari di lavoro inimmaginabili per i nostri sindacalisti rossi CGL -CISL e UIL, ovvero 23 ore su 24, come le galline ovaiole, che quando non producono più uova diventano polli da ammazzare. Quindi c'è sempre un margine di guadagno anche dalla carcassa, anzi un bel margine di guadagno visto che gli organi umani qui sono venduti in gran numero e a prezzi elevatissimi a noi occidentali. Lo sanno bene i medici residenti in Giappone, a Hong Kong, a Singapore e a Taiwan, che fanno da intermediari e dirigono i propri pazienti negli ospedali di Wuhan, Beijing e Shangai. Il sistema è molto efficiente in quanto gli stranieri non devono aspettare giorni o settimane perché gli organi siano disponibili: le esecuzioni vengono programmate per andare incontro alle esigenze di mercato. È difficile fare una stima esatta della quantità di organi trapiantati in Cina, e quindi del giro di soldi di questo business. Se ci si basa unicamente sulle esecuzioni riportate dalla stampa, ogni anno almeno quindicimila persone sono condannate a morte, ma Amnesty International calcola che siano almeno il doppio. E tutte le esecuzioni hanno luogo con l’aiuto di un medico che “prepara” il condannato per l’espianto. Bello non vi pare? Come può un prodotto occidentale competere con quello che arriva dall'oriente? In Cina esistono da sempre i campi di concentramento (anche se si preferisce ricordare solo Aushwitz di 60 anni fa). Si chiamano “Laogai” e vi sono detenute milioni di persone (alcune stime affermano quasi 10 milioni) in condizioni pessime e costrette ai lavori forzati e dai quali esce il prodotto MADE IN CHINA che tutti conosciamo. La Laogai Research Foundation aiuta a far luce su questo aspetto poco noto del sistema repressivo cinese che alimenta l'economia. Harry WU, detenuto nei Laogai per 19 anni ne è oggi il più importante nemico. Dalla creazione del sistema dei Laogai (un sistema ideato dal profeta Mao) vi sono state imprigionate fra i 40 e i 50 milioni di persone, tanto che in Cina praticamente ogni cittadino è imparentato o conosce qualcuno che è finito in quei campi di concentramento. Nei dettagli, i laogai, che in cinese significa "riforma attraverso il lavoro", sono i campi di concentramento della Repubblica Popolare Cinese. I campi dell'era comunista comparirono negli anni '50 e vennero riempiti con chiunque avesse mosso critiche al governo, o spesso con persone prese a caso dalle loro case, allo scopo di raggiungere le quote di prigionieri. L'intera società era organizzata in piccoli gruppi nei quali la lealtà al governo veniva rafforzata, cosicché chiunque avesse punti di vista dissidenti fosse facilmente identificabile. Questi campi erano (e purtroppo lo sono ancora) moderni campi di lavoro schiavistico, organizzati come fabbriche. Capita adesso l'economia cinese? Maledetti cinesi del cazzo, sono un popolo barbaro, cattivo nel D.N.A., sono tutti la perfetta reincarnazione degli asiatici più cattivi della storia come Attila o Gengis Khan. Dalle loro parti, oltre ai prodotti a basso costo, provengono anche altre fregature, come l'influenza stagionale (viste le schifose condizioni igieniche della magg. parte del Paese) o peggio arriva la S.A.R.S. su cui il governo cinese non si esprime e non permette la diffusione di informazioni a riguardo. Periodicamente esplodono fabbriche chimiche e riversano la loro merda nell'atmosfera e nelle acque... e anche qui le informazioni arrivano distorte o non arrivano per niente, per non parlare del nucleare made in China del quale non si sa nulla. Poi arriva l'influenza dei polli e a noi (poveri fessi occidentali) fanno vedere che i polli infetti vengono inceneriti... Ma daiiii... Un popolo così bastardo da non aver riguardo per nessuno, tanto da ammazzare i bambini in sovrannumero e sparare alla testa dei dissidenti politici per poi far pagare il prezzo del proiettile alla famiglia, non può cremare migliaia di polli infetti ma li fa mangiare ai detenuti!! O meglio... mi correggo: li fa mangiare ai cinesi, visto che la Cina è un enorme campo di sterminio. Non andate nei ristoranti cinesi: potrebbero servirvi la specialità della casa, e non si tratta di pollo... Evitate di andare in Cina per turismo: potreste finire nei campi Laogai quando meno ve lo aspettate, ma se siete militanti comunisti andateci perchè un vero "compagno" sa cosa vuol dire essere al servizio del Partito Comunista.
L A O G A I |
Quello che segue è tratto da un articolo di Filippo Facci apparso sul quotidiano Il Giornale e racconta che cos'è un LAOGAI attraverso le parole di Harry WU. |
o |
Mani curate, cravatta rossa e una certezza: l’economia cinese è basata sullo schiavismo. D’accordo, ne parleremo, ma anzitutto chiedo a Harry Wu se vuole parlarci dei suoi diciannove anni rinchiuso in un laogai. Ci guarda mestamente: «Devi prima capire che cos’è davvero un laogai». E noi credevamo di saperlo: sono dei campi di rieducazione voluti da Mao Zedong che hanno accolto non meno di cinquanta milioni di persone dalla loro costituzione, praticamente l’Italia intera; si è calcolato che non esista un cinese che non conosca almeno una persona che vi è stata soggiogata. E’ una detenzione che non prevede processo, non prevede imputazione, tantomeno esame o riesame giudiziario o possibilità di confrontarsi con un’autorità. La decisione di rinchiuderti è a totale discrezione del Partito! |
«Ma loro» dice «per definirti usano la parola prodotto, e il primo prodotto sei tu, quello che devi diventare: un nuovo socialista. Il secondo è un prodotto vero e proprio, tipo scarpe, vestiti, spezie, tessuti, qualsiasi cosa. Ogni laogai ha due nomi: quello del centro di detenzione e quello della fabbrica. Tu devi affrontare una quota di lavoro quotidiano, sino a 18 ore, sennò non ti danno da mangiare. Spesso devi lavorare in condizioni pericolose, come nelle miniere, con prodotti chimici tossici». Una pausa, scuote la testa: «Ma neppure questo, in realtà, è il laogai». E’ come se Harry Wu, cinese fuggito negli Usa, non volesse parlare di sé. Eppure è presidente della Laogai Research Foundation, è una prova vivente, fu arrestato a ventidue anni dopo che all’università, leggendo un giornale assieme ad altri studenti, aveva semplicemente criticato l’appoggio cinese all’invasione sovietica di Budapest. Delazione. Manette. Nessun tribunale, nessuna prova o indizio, nessun’accusa precisa se non quella d’essere un cattolico e un rivoluzionario di destra. «Il primo giorno, a Chejang, mi dissero che per potermi rieducare sarebbe occorso molto tempo. Poi mi spiegarono che non avrei neppure potuto pregare né sostenere di essere una persona: perché mi avrebbero punito o ucciso. Mi obbligarono a confessare delle presunte colpe dopo aver costretto alla confessione anche mio padre, mio fratello, la mia fidanzata. Solo mia madre rifiutò di farlo. Sono stato molto orgoglioso di lei». Un’altra pausa. L’impercettibile imbarazzo di Toni Brandi, il coordinatore della Fondazione che ci sta facendo da interprete: «Non ha confessato perché si è suicidata». E tutto, attorno, comincia a farsi stretto, troppo in distonia col racconto, e troppo rossa quella cravatta rossa, troppo pulita la moquette di quell’hotel nel centro di Milano.
«I primi due o tre anni» racconta Harry Wu «pensi alla tua ragazza, alla tua famiglia, alla libertà, alla dignità: poi non pensi più a niente. Perdi ogni dimensione, entri in un tunnel scuro. Preghi di nascosto. In un laogai non ci sono eroi che possano sopravvivere: a meno di suicidarti o farti torturare a morte. Scariche elettriche. Pestaggi manuali o con i manganelli. L’utilizzo doloroso di manette ai polsi e alle caviglie. La sospensione per le braccia. La privazione del cibo e del sonno. Questo ho visto, e così è stato per preti, vescovi cattolici, monaci tibetani». Ci mostra la foto di un vescovo di 33 anni, e ancora altre foto in sequenza che nessun quotidiano o rotocalco potrà mai riportare: uomini e ragazzi inginocchiati, una ragazzina immobilizzata da due soldati mentre un terzo le punta il fucile alla nuca, una foto successiva in cui è spalmata a terra con il cranio orribilmente esploso. Poi un filmato. E’ un dvd curato dall’associazione, e dovrebbero vietarlo ai minori e agli occidentali in affari con la Cina: esecuzioni seriali, di massa, i condannati inginocchiati, prima la fucilata e poi lo stivale premuto forte sullo stomaco per controllare che morte sia stata, un ufficiale di partito che per sincerarsene usa una sbarra d’acciaio, e anche di questo qualcosa sapevamo, ma come dire: il video, un video. Sapevamo pure delle fucilazioni e delle camere mobili di esecuzione: furgoni modificati che raggiungono direttamente il luogo dell’esecuzione con il condannato legato con cinghie a un lettino di metallo, il tutto controllato da un monitor posto accanto al posto di guida. Poi via, si riparte verso altre esecuzioni da effettuarsi pochi minuti dopo l’emissione della condanna a morte.
Noi sapevamo che la maggior parte delle condanne è pronunciata in stadi e piazze davanti a folle gigantesche, e che le cose, in Cina, sono tornate a peggiorate dal 2003, laddove ogni anno vengono giustiziati più individui che in tutti i paesi del mondo messi insieme. «Nel 1984, dopo un articolo di Newsweek, smisero di portare i morti in giro per le strade come pubblico esempio» ci dice, «ma dal 1989 hanno ricominciato, e i familiari devono pagare le spese per le pallottole e per la cremazione». E la faccenda degli organi? «Le autorità prelevano gli organi dei condannati a morte in quanto appartengono ufficialmente allo Stato. I trapianti sono effettuati sotto supervisione governativa: il costo è inferiore del 30 per cento rispetto alla media, e ne beneficiano cinesi privilegiati e cittadini occidentali e israeliani». E la faccenda dei cosmetici fatti con la pelle dei morti? «Dai giustiziati prendono il collagene e altre sostanze che servono per la produzione di prodotti di bellezza, tutti destinati al mercato europeo». |
Nel settembre scorso, della pelle di condannati o di feti, parlò anche un’inchiesta del Guardian: citò la testimonianza, in particolare, di un ex medico militare cinese che sosteneva d’aver aiutato un chirurgo a espiantare gli organi di oltre cento giustiziati, cornee comprese: senza ovviamente aver prima chiesto il consenso a chicchessia. Il chirurgo parcheggiava il suo furgoncino vicino al luogo delle esecuzioni e, stando alla testimonianza, nel 1995 tolsero la pelle anche a un uomo poi rivelatosi vivo. «Devi prima capire» ripete «che cos’è un laogai». Forse sì, forse dobbiamo capire: dobbiamo poterci raccontare, un giorno, tra vent’anni, che sapevamo. «I laogai sono parte integrante dell’economia cinese. Le autorità li considerano delle fonti inesauribili di mano d’opera gratuita: milioni di persone, rinchiuse, che costituiscono la popolazione di lavoratori forzati più vasta del mondo. E’ un modo supplementare, ma basilare, che ha fatto volare l’economia: un’economia di schiavitù». Il numero dei laogai è imprecisato: è segreto di Stato. Secondo l’Associazione, dovrebbero essere circa un migliaio. I prigionieri, se la rieducazione fosse giudicata non completata, posson essere trattenuti anche dopo la fine della pena: «Io avrei dovuto rimanerci per trentaquattro anni, se non fossi fuggito. Perché avevo delle opinioni. Perché ero cattolico. Perché ero un uomo. Il 20 novembre compio vent’anni da uomo libero». Ieri. «E continuerò a lavorare perché la parola laogai entri in tutti i dizionari, in tutte le lingue. Appena giunto negli Usa non ne volli parlare per cinque anni, non ci riuscivo, poi cominciai a vedere che in America la gente parlava dell’Olocausto, parlava dei gulag, e però a proposito della Cina parlava solo della Muraglia e del cibo e naturalmente dell’economia. Ma i laogai, in Cina, esistono da cinquantacinque anni».
Ben più, quindi, dei ventisette anni che ci separano dalla nascita della cosiddetta politica del figlio unico instaurata nel 1979 da Deng Xiaoping, prassi che ha spinto milioni di contadini a sbarazzarsi della progenie femminile: almeno 550mila bambine l’anno secondo l’organizzazione Human Rights Watch. Più dei due anni che ci separano dal giro di vite giudiziario introdotto nel 2003 nel timore che l’arricchimento potesse portare troppa libertà: laddove le madri e i familiari delle vittime di Tienanmen sono ancor oggi perseguitate, e i sindacati proibiti, i minori deceduti sul lavoro impressionanti per numero, per non dire dei cosiddetti morti accidentali: prigionieri che precipitano dai piani alti degli edifici detentivi e che solo il racconto di pochi scampati ha potuto testimoniare. A Reporter senza frontiere e ad Amnesty International è invece toccato il compito di raccontare della rinnovata abitudine di rinchiudere i dissidenti negli ospedali psichiatrici, spesso imbottiti di psicofarmaci senza che le ragioni degli internamenti fossero state neppure ufficialmente stabilite: accade nel Paese che per un anno e mezzo riuscì e celare l’epidemia Sars, giacchè i dirigenti cinesi temevano che potesse scoraggiare gli investimenti occidentali. Cose delicate. La Cina cresce sino al 10 per cento annuo e si metterà in vetrina ai giochi olimpici del 2008: e ci sono da quattro a sei milioni di persone, rinchiusi nei laogai cinesi, che stanno lavorando per noi. Harry Wu domenica mattina è ripartito per Washington. Doveva incontrare Bush e festeggiare i suoi vent’anni da uomo libero. O forse bastava da uomo.
Per concludere in "bellezza" voglio deliziarvi la vista con queste immagini che mostrano le esecuzioni quotidiane che avvengono nel paradiso dei comunisti. Badate bene, queste persone sono giustiziate perchè, anzi solo perchè, praticavano la crudele pratica della religione tibetana!
Le immagini sono offerte dalla Fondazione per i diritti del popolo tibetano. Cliccate sul Link dell'Associazione http://www.friendsoftibet.org/ per scoprire cose che neanche immaginavate potessero capitare al popolo più pacifico del mondo.
Se dopo aver letto questo articolo pensate ancora agli ebrei e alle persecuzioni naziste sapete cosa vi dico? Andate a cagare.
Fabio GALANTE
Boicottate tutti i prodotti Made in CHINA; non sovvenzionerete così l'industria della morte;
Non recatevi MAI in CINA per turismo, o nei paesi satelliti, perchè potreste finire nei campi LAOGAI quando meno ve lo aspettate;
Non frequentate MAI i ristoranti CINESI in ITALIA perchè potrebbero servirvi la specialità della casa!
Ricordate che in CINA vi è il detto: "del cinese non si butta via niente, come il maiale".