BOICOTTA LA CINA !!!!!!

FORSE DOVREMMO TENERE IL COLOSSEO ACCESO TUTTI I GIORNI NON SOLO QUANDO LE ESECUZIONI AVVENGONO NEGLI STATI UNITI.......

SINDACO VELTRONI

Il segreto dell'economia cinese - a cura di Fabio GALANTE

Il segreto dell'economia cinese
a cura di Fabio GALANTE

Il segreto è semplice: schiavismo. La mano d'opera (tutti detenuti condannati ai lavori forzati) è a costo zero e talvolta anche la materia prima (i cadaveri dei poveretti finiscono per alimentare l'industria cosmetica e il traffico di organi). Ricordate i filmati delle atrocità naziste in cui si vedevano lumi e giacche di pelle umana fatte dalla pelle degli internati dei lager? Beh, queste cose accadono ancora, ma Hitler non c'entra niente... In Cina i detenuti sono costretti ad orari di lavoro inimmaginabili per i nostri sindacalisti rossi CGL -CISL e UIL, ovvero 23 ore su 24, come le galline ovaiole, che quando non producono più uova diventano polli da ammazzare. Quindi c'è sempre un margine di guadagno anche dalla carcassa, anzi un bel margine di guadagno visto che gli organi umani qui sono venduti in gran numero e a prezzi elevatissimi a noi occidentali. Lo sanno bene i medici residenti in Giappone, a Hong Kong, a Singapore e a Taiwan, che fanno da intermediari e dirigono i propri pazienti negli ospedali di Wuhan, Beijing e Shangai. Il sistema è molto efficiente in quanto gli stranieri non devono aspettare giorni o settimane perché gli organi siano disponibili: le esecuzioni vengono programmate per andare incontro alle esigenze di mercato. È difficile fare una stima esatta della quantità di organi trapiantati in Cina, e quindi del giro di soldi di questo business. Se ci si basa unicamente sulle esecuzioni riportate dalla stampa, ogni anno almeno quindicimila persone sono condannate a morte, ma Amnesty International calcola che siano almeno il doppio. E tutte le esecuzioni hanno luogo con l’aiuto di un medico che “prepara” il condannato per l’espianto. Bello non vi pare? Come può un prodotto occidentale competere con quello che arriva dall'oriente? In Cina esistono da sempre i campi di concentramento (anche se si preferisce ricordare solo Aushwitz di 60 anni fa). Si chiamano “Laogai” e vi sono detenute milioni di persone (alcune stime affermano quasi 10 milioni) in condizioni pessime e costrette ai lavori forzati e dai quali esce il prodotto MADE IN CHINA che tutti conosciamo. La Laogai Research Foundation aiuta a far luce su questo aspetto poco noto del sistema repressivo cinese che alimenta l'economia. Harry WU, detenuto nei Laogai per 19 anni ne è oggi il più importante nemico. Dalla creazione del sistema dei Laogai (un sistema ideato dal profeta Mao) vi sono state imprigionate fra i 40 e i 50 milioni di persone, tanto che in Cina praticamente ogni cittadino è imparentato o conosce qualcuno che è finito in quei campi di concentramento. Nei dettagli, i laogai, che in cinese significa "riforma attraverso il lavoro", sono i campi di concentramento della Repubblica Popolare Cinese. I campi dell'era comunista comparirono negli anni '50 e vennero riempiti con chiunque avesse mosso critiche al governo, o spesso con persone prese a caso dalle loro case, allo scopo di raggiungere le quote di prigionieri. L'intera società era organizzata in piccoli gruppi nei quali la lealtà al governo veniva rafforzata, cosicché chiunque avesse punti di vista dissidenti fosse facilmente identificabile. Questi campi erano (e purtroppo lo sono ancora) moderni campi di lavoro schiavistico, organizzati come fabbriche. Capita adesso l'economia cinese? Maledetti cinesi del cazzo, sono un popolo barbaro, cattivo nel D.N.A., sono tutti la perfetta reincarnazione degli asiatici più cattivi della storia come Attila o Gengis Khan. Dalle loro parti, oltre ai prodotti a basso costo, provengono anche altre fregature, come l'influenza stagionale (viste le schifose condizioni igieniche della magg. parte del Paese) o peggio arriva la S.A.R.S. su cui il governo cinese non si esprime e non permette la diffusione di informazioni a riguardo. Periodicamente esplodono fabbriche chimiche e riversano la loro merda nell'atmosfera e nelle acque... e anche qui le informazioni arrivano distorte o non arrivano per niente, per non parlare del nucleare made in China del quale non si sa nulla. Poi arriva l'influenza dei polli e a noi (poveri fessi occidentali) fanno vedere che i polli infetti vengono inceneriti... Ma daiiii... Un popolo così bastardo da non aver riguardo per nessuno, tanto da ammazzare i bambini in sovrannumero e sparare alla testa dei dissidenti politici per poi far pagare il prezzo del proiettile alla famiglia, non può cremare migliaia di polli infetti ma li fa mangiare ai detenuti!! O meglio... mi correggo: li fa mangiare ai cinesi, visto che la Cina è un enorme campo di sterminio. Non andate nei ristoranti cinesi: potrebbero servirvi la specialità della casa, e non si tratta di pollo... Evitate di andare in Cina per turismo: potreste finire nei campi Laogai quando meno ve lo aspettate, ma se siete militanti comunisti andateci perchè un vero "compagno" sa cosa vuol dire essere al servizio del Partito Comunista.

L A O G A I

L A O G A I

Quello che segue è tratto da un articolo di Filippo Facci apparso sul quotidiano Il Giornale e racconta che cos'è un LAOGAI attraverso le parole di Harry WU.

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Harry Wu direttore della Laogai Research Foundation è il più famoso paladino nella lotta contro le violazioni dei diritti umani commesse nei Laogai, dove è stato detenuto per 19 anni semplicemente per aver criticato le politiche del Partito Comunista Cinese. Mani curate, cravatta rossa e una certezza: l’economia cinese è basata sullo schiavismo. D’accordo, ne parleremo, ma anzitutto chiedo a Harry Wu se vuole parlarci dei suoi diciannove anni rinchiuso in un laogai. Ci guarda mestamente: «Devi prima capire che cos’è davvero un laogai». E noi credevamo di saperlo: sono dei campi di rieducazione voluti da Mao Zedong che hanno accolto non meno di cinquanta milioni di persone dalla loro costituzione, praticamente l’Italia intera; si è calcolato che non esista un cinese che non conosca almeno una persona che vi è stata soggiogata. E’ una detenzione che non prevede processo, non prevede imputazione, tantomeno esame o riesame giudiziario o possibilità di confrontarsi con un’autorità. La decisione di rinchiuderti è a totale discrezione del Partito!

«Ma loro» dice «per definirti usano la parola prodotto, e il primo prodotto sei tu, quello che devi diventare: un nuovo socialista. Il secondo è un prodotto vero e proprio, tipo scarpe, vestiti, spezie, tessuti, qualsiasi cosa. Ogni laogai ha due nomi: quello del centro di detenzione e quello della fabbrica. Tu devi affrontare una quota di lavoro quotidiano, sino a 18 ore, sennò non ti danno da mangiare. Spesso devi lavorare in condizioni pericolose, come nelle miniere, con prodotti chimici tossici». Una pausa, scuote la testa: «Ma neppure questo, in realtà, è il laogai». E’ come se Harry Wu, cinese fuggito negli Usa, non volesse parlare di sé. Eppure è presidente della Laogai Research Foundation, è una prova vivente, fu arrestato a ventidue anni dopo che all’università, leggendo un giornale assieme ad altri studenti, aveva semplicemente criticato l’appoggio cinese all’invasione sovietica di Budapest. Delazione. Manette. Nessun tribunale, nessuna prova o indizio, nessun’accusa precisa se non quella d’essere un cattolico e un rivoluzionario di destra. «Il primo giorno, a Chejang, mi dissero che per potermi rieducare sarebbe occorso molto tempo. Poi mi spiegarono che non avrei neppure potuto pregare né sostenere di essere una persona: perché mi avrebbero punito o ucciso. Mi obbligarono a confessare delle presunte colpe dopo aver costretto alla confessione anche mio padre, mio fratello, la mia fidanzata. Solo mia madre rifiutò di farlo. Sono stato molto orgoglioso di lei». Un’altra pausa. L’impercettibile imbarazzo di Toni Brandi, il coordinatore della Fondazione che ci sta facendo da interprete: «Non ha confessato perché si è suicidata». E tutto, attorno, comincia a farsi stretto, troppo in distonia col racconto, e troppo rossa quella cravatta rossa, troppo pulita la moquette di quell’hotel nel centro di Milano.

«I primi due o tre anni» racconta Harry Wu «pensi alla tua ragazza, alla tua famiglia, alla libertà, alla dignità: poi non pensi più a niente. Perdi ogni dimensione, entri in un tunnel scuro. Preghi di nascosto. In un laogai non ci sono eroi che possano sopravvivere: a meno di suicidarti o farti torturare a morte. Scariche elettriche. Pestaggi manuali o con i manganelli. L’utilizzo doloroso di manette ai polsi e alle caviglie. La sospensione per le braccia. La privazione del cibo e del sonno. Questo ho visto, e così è stato per preti, vescovi cattolici, monaci tibetani». Ci mostra la foto di un vescovo di 33 anni, e ancora altre foto in sequenza che nessun quotidiano o rotocalco potrà mai riportare: uomini e ragazzi inginocchiati, una ragazzina immobilizzata da due soldati mentre un terzo le punta il fucile alla nuca, una foto successiva in cui è spalmata a terra con il cranio orribilmente esploso. Poi un filmato. E’ un dvd curato dall’associazione, e dovrebbero vietarlo ai minori e agli occidentali in affari con la Cina: esecuzioni seriali, di massa, i condannati inginocchiati, prima la fucilata e poi lo stivale premuto forte sullo stomaco per controllare che morte sia stata, un ufficiale di partito che per sincerarsene usa una sbarra d’acciaio, e anche di questo qualcosa sapevamo, ma come dire: il video, un video. Sapevamo pure delle fucilazioni e delle camere mobili di esecuzione: furgoni modificati che raggiungono direttamente il luogo dell’esecuzione con il condannato legato con cinghie a un lettino di metallo, il tutto controllato da un monitor posto accanto al posto di guida. Poi via, si riparte verso altre esecuzioni da effettuarsi pochi minuti dopo l’emissione della condanna a morte.

Noi sapevamo che la maggior parte delle condanne è pronunciata in stadi e piazze davanti a folle gigantesche, e che le cose, in Cina, sono tornate a peggiorate dal 2003, laddove ogni anno vengono giustiziati più individui che in tutti i paesi del mondo messi insieme. «Nel 1984, dopo un articolo di Newsweek, smisero di portare i morti in giro per le strade come pubblico esempio» ci dice, «ma dal 1989 hanno ricominciato, e i familiari devono pagare le spese per le pallottole e per la cremazione». E la faccenda degli organi? «Le autorità prelevano gli organi dei condannati a morte in quanto appartengono ufficialmente allo Stato. I trapianti sono effettuati sotto supervisione governativa: il costo è inferiore del 30 per cento rispetto alla media, e ne beneficiano cinesi privilegiati e cittadini occidentali e israeliani». E la faccenda dei cosmetici fatti con la pelle dei morti? «Dai giustiziati prendono il collagene e altre sostanze che servono per la produzione di prodotti di bellezza, tutti destinati al mercato europeo». Boicotta tutti i prodotti MADE IN CHINA - Non alimentare le industrie della morte

Nel settembre scorso, della pelle di condannati o di feti, parlò anche un’inchiesta del Guardian: citò la testimonianza, in particolare, di un ex medico militare cinese che sosteneva d’aver aiutato un chirurgo a espiantare gli organi di oltre cento giustiziati, cornee comprese: senza ovviamente aver prima chiesto il consenso a chicchessia. Il chirurgo parcheggiava il suo furgoncino vicino al luogo delle esecuzioni e, stando alla testimonianza, nel 1995 tolsero la pelle anche a un uomo poi rivelatosi vivo. «Devi prima capire» ripete «che cos’è un laogai». Forse sì, forse dobbiamo capire: dobbiamo poterci raccontare, un giorno, tra vent’anni, che sapevamo. «I laogai sono parte integrante dell’economia cinese. Le autorità li considerano delle fonti inesauribili di mano d’opera gratuita: milioni di persone, rinchiuse, che costituiscono la popolazione di lavoratori forzati più vasta del mondo. E’ un modo supplementare, ma basilare, che ha fatto volare l’economia: un’economia di schiavitù». Il numero dei laogai è imprecisato: è segreto di Stato. Secondo l’Associazione, dovrebbero essere circa un migliaio. I prigionieri, se la rieducazione fosse giudicata non completata, posson essere trattenuti anche dopo la fine della pena: «Io avrei dovuto rimanerci per trentaquattro anni, se non fossi fuggito. Perché avevo delle opinioni. Perché ero cattolico. Perché ero un uomo. Il 20 novembre compio vent’anni da uomo libero». Ieri. «E continuerò a lavorare perché la parola laogai entri in tutti i dizionari, in tutte le lingue. Appena giunto negli Usa non ne volli parlare per cinque anni, non ci riuscivo, poi cominciai a vedere che in America la gente parlava dell’Olocausto, parlava dei gulag, e però a proposito della Cina parlava solo della Muraglia e del cibo e naturalmente dell’economia. Ma i laogai, in Cina, esistono da cinquantacinque anni».

Ben più, quindi, dei ventisette anni che ci separano dalla nascita della cosiddetta politica del figlio unico instaurata nel 1979 da Deng Xiaoping, prassi che ha spinto milioni di contadini a sbarazzarsi della progenie femminile: almeno 550mila bambine l’anno secondo l’organizzazione Human Rights Watch. Più dei due anni che ci separano dal giro di vite giudiziario introdotto nel 2003 nel timore che l’arricchimento potesse portare troppa libertà: laddove le madri e i familiari delle vittime di Tienanmen sono ancor oggi perseguitate, e i sindacati proibiti, i minori deceduti sul lavoro impressionanti per numero, per non dire dei cosiddetti morti accidentali: prigionieri che precipitano dai piani alti degli edifici detentivi e che solo il racconto di pochi scampati ha potuto testimoniare. A Reporter senza frontiere e ad Amnesty International è invece toccato il compito di raccontare della rinnovata abitudine di rinchiudere i dissidenti negli ospedali psichiatrici, spesso imbottiti di psicofarmaci senza che le ragioni degli internamenti fossero state neppure ufficialmente stabilite: accade nel Paese che per un anno e mezzo riuscì e celare l’epidemia Sars, giacchè i dirigenti cinesi temevano che potesse scoraggiare gli investimenti occidentali. Cose delicate. La Cina cresce sino al 10 per cento annuo e si metterà in vetrina ai giochi olimpici del 2008: e ci sono da quattro a sei milioni di persone, rinchiusi nei laogai cinesi, che stanno lavorando per noi. Harry Wu domenica mattina è ripartito per Washington. Doveva incontrare Bush e festeggiare i suoi vent’anni da uomo libero. O forse bastava da uomo.

Per concludere in "bellezza" voglio deliziarvi la vista con queste immagini che mostrano le esecuzioni quotidiane che avvengono nel paradiso dei comunisti. Badate bene, queste persone sono giustiziate perchè, anzi solo perchè, praticavano la crudele pratica della religione tibetana!

Le immagini sono offerte dalla Fondazione per i diritti del popolo tibetano. Cliccate sul Link dell'Associazione http://www.friendsoftibet.org/ per scoprire cose che neanche immaginavate potessero capitare al popolo più pacifico del mondo.

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Se dopo aver letto questo articolo pensate ancora agli ebrei e alle persecuzioni naziste sapete cosa vi dico? Andate a cagare.

Fabio GALANTE

Ricorda di non dimenticare MAI cosa sono i LAOGAI - Campagna di sensibilizzazione a cura di Fabio GALANTE

  • Boicottate tutti i prodotti Made in CHINA; non sovvenzionerete così l'industria della morte;

  • Non recatevi MAI in CINA per turismo, o nei paesi satelliti, perchè potreste finire nei campi LAOGAI quando meno ve lo aspettate;

  • Non frequentate MAI i ristoranti CINESI in ITALIA perchè potrebbero servirvi la specialità della casa!

  • Ricordate che in CINA vi è il detto: "del cinese non si butta via niente, come il maiale".

Torna all'orrore in CINA

l'unico rosso che ci piace veder vincere...campioni del mondo!!!!!


SAN PAOLO (Brasile), 21 ottobre 2007 - Era scritto, Kimi Raikkonen è campione del mondo, la Ferrari riconquista il titolo iridato dopo tre stagioni. Il clamoroso verdetto è stato sancito dal GP del Brasile che ha chiuso un indimenticabile 2007, l’anno che sarà ricordato per la Spy Story McLaren-Ferrari, l’esplosione di una nuova stella, Lewis Hamilton e il trionfo in rimonta di un finlandese di ghiaccio che è diventato campione al primo anno di Ferrari.

IMPRENDIBILI - Onore a Kimi Raikkonen, vincitore a Interlagos davanti a Felipe Massa per una strepitosa doppietta delle F2007, letteralmente imprendibili proprio quando serviva, nell’ultimo e decisivo GP dell’anno. Fernando Alonso ha chiuso terzo, Lewis Hamilton settimo: Kimi li ha scavalcati per un solo punto.

VELENI - Un trionfo Ferrari incredibile e meritato che cancella una stagione piena di veleni tra Maranello e i rivali di Woking. Che cancella quella sentenza a metà che ha punito la McLaren ma non i piloti. Che cancella soprattutto i tanti errori con cui la Ferrari ha rischiato di gettare al vento questo titolo. La Spy Story ha innegabilmente avvantaggiato la McLaren, ma ai box del Cavallino e in pista gli sbagli erano stati troppi, specie guardando il potenziale altissimo della F2007. Il pregio più grande è stato però crederci fino alla fine. E la vittoria alla fine è arrivata. Rocambolesca, ma è arrivata.
DISPERATA - La gara è andata come doveva andare. Le Ferrari hanno preso la testa con Massa e Kimi. Dietro Hamilton si è praticamente suicidato sbagliando dopo poche curve. Lewis (inesperienza? sfortuna?) è rientrato sesto ma dopo pochi giri si è ritrovato con la McLaren ammutolita col cambio inceppato. La sua macchina è poi ripartita ma dalla 18ª posizione la rimonta al quinto posto, quello che gli serviva, è stata tanto generosa quanto disperata. Alonso, terzo, è rimasto virtuale campione fino al secondo pit stop della gara, quando Raikkonen è rientrato in pista davanti a Massa, la situazione di punteggio che serviva. Raikkonen 110, Alonso e Hamilton 109. Era scritto.

"Di fronte a tanti veleni, a tanta slealta', ha vinto la giustizia". Cosi' Luca Di Montezemolo torna ad esaltare il successo della Ferrari. "La nostra forza e' non mollare mai - ha sottolineato il presidente del Cavallino intervenendo a Radio Anch'io Lo Sport - anche nei momenti difficili di una stagione durissima. Quello di ieri mi e' sembrato uno stress inutile per tutti, perche' il regolamento prevede che se anche qualche macchina veniva squalificata, non venivano tolti punti ai piloti".




video:


COME SEMPRE GRANDE MOBILITAZIONE DI AG

GRANDE MANIFESTAZIONE DI AG INSIEME AD ALLENZA NAZIONALE A ROMA,PURTROPPO LA PERMANENZA AL CORTEO E' STATA RIDOTTA A CAUSA DI DOVERI LAVORATIVI....CHE PECCATO AVER LASCIATO TUTTI PROPRIO NEL MOMENTO PIU' BELLO MA QUANDO IL DOVERE CHIAMA.....

ASPETTO COMMENTI DA PARTE DI CHI HA PARTECIPATO FINO ALLA FINE PER POTER RENDERE AL MEGLIO L'IDEA SU COSA SIA STATA LA MANIFESTAZIONE...


GRANDE ALBERTO CHE E' PARTITO COL TRENO DA SOLO,STAI ENTRANDO PERFETTAMENTE NELLA MENTALITA' DEL GRUPPO(MI DISPIACE NON ESSERE STATO CON TE...).


DAJE


IN ALTO I CUORI....


CON IL POPOLO BIRMANO


Nella ex Birmania, ora Myanmar, è in atto una sanguinosa repressione delle manifestazioni di dissenso nei confronti del feroce regime instauratosi dopo un colpo di stato nel 1988 e da allora al potere con il sostegno del governo cinese. Si tratta di una giunta militare d'ispirazione marxista che approfitta della presenza sul proprio territorio di parecchie multinazionali senza scrupoli per darsi una patente di liberalità agli occhi della comunità internazionale. Ma ha i tratti tipici delle dittature comuniste nella presenza al potere di tutti gli uomini che provengono dall’apparato del Partito, nella retorica dei suoi leader, nei propri simboli di riferimento, nella repressione crudele di ogni libertà, nella gestione statale di tutta l’economia nazionale.

Eppure, come spesso capita in questi casi, l’aggettivo comunista scompare nelle cronache giornalistiche dalla regione est-asiatica e nelle dichiarazioni pubbliche dei partiti della sinistra italiana. Per questo abbiamo provato una grande rabbia nel vedere sui muri delle nostre città dei manifesti prodotti dal neo-Partito Democratico inneggianti ai protagonisti della rivolta in Myanmar, recanti la dicitura: “Democratici come noi”. Non potevamo non replicare loro.

Azione Giovani è al fianco dei monaci, degli studenti e della popolazione birmana perché si tratta di gente coraggiosa, che si batte per la propria libertà contro una dittatura sanguinosa, e che non merita la solita ipocrisia dei finti pacifisti.

TUTTI A ROMA !!!!!!!!!




ESPOSTO QUESTA MATTINA A CISTERNA DALLA SEDE DISTACCATA DELLA FACOLTA' DI INGEGNERIA DE LA SAPIENZA PRESSO IL PALAZZO CAETANI UNO STRISCIONE CHE INVITA TUTTI A SCENDERE IN PIAZZA IL 13 A ROMA.......

?????????????CHI SARA' STATO???????????????????


TRIONFO AZZURRO...O ROSA????


4/10/2007 -
21:28San Pietroburgo (RUSSIA)

- Nel sesto giorno di gare l’inno di Mameli suona finalmente al Peterbursky Sports Complex di San Pietroburgo, in una giornata indimenticabile per la scherma italiana. Un podio completamente azzurro (nella foto Minozzi), come un anno fa a Torino. Stesse protagoniste, ma conio di medaglia diverso. Valentina Vezzali, infatti, supera Margherita Granbassi, nel remake della finale di dodici mesi orsono, conquistando così il suo quinto titolo mondiale, dopo quelli di Lipsia 2005, L’Havana 2003, Nimes 2001 e Seoul 1999, a cui vanno aggiunti i due olimpici di Sidney 2000 e Atene 2004. Come lei, degli atleti ancora in attività, solo Stanislav Pozdniakov, anche se ad onor del vero lo sciabolatore russo di Olimpiadi ne ha vinta ''solo'' una. Quella di Atlanta 1996. Una giornata positiva fin dal primo assalto, con un dominio quasi assoluto. Via via sono cadute la venezuelana Yulitza Suarez (15-4), la francese Melanie Moumas (14-5), la tedesca Anja Schache (15-6) e la compagna di squadra Ilaria Salvatori, superata nei quarti per 15-7. In semifinale, poi, il successo è arrivato sull’eterna Giovanna Trillini per 15-6. Di lì a poco, l’atto finale. Un assalto equilibrato nella prima parte (5-5, 6-6) e poi il primo break (6-8), prima rintuzzato (8-9) e subito dopo decisivo con l’11-8 che valeva la medaglia d’oro. Il primo pensiero dela fiorettista tesserata per le Fiamme Oro va al marito e al figlio: ''Mimmo me lo aveva detto, non potevo perdere nella città dello zar. E poi mio figlio si chiama Pietro...''. E poi aggiunge: ''Certo, si può vincere anche con un handicap fisico, ma forse quando ci trovammo contro a Torino non eravamo ad armi pari. Ma chi vince ha sempre ragione''. La Granbassi accetta la sconfitta con grande classe e con il sorriso: ''Bisogna saper perdere come saper vincere. Qui ero arrivata in condizioni non perfette. E non lo dico per crearmi un alibi. Di quest’argento, quindi, sono assolutamente felice''. La carabiniera triestina la finale l’aveva trovata dopo un cammino alterno. Primo turno tranquillo con la britannica Martina Emanuel (14-7), brivido al supplementare (7-6) con la cinese Wan Wen Su nei 16esimi; ancora due turni convincenti con l’olandese Indra Angad-Gaur (12-8) negli ottavi e con l’ungherese Virginie Ujlaki (15-10) nei quarti, prima della semifinale con l’ungherese Aida Mohamed chiusa all’ultima stoccata per 14-13. Chi, invece, aveva minato le coronarie dei tifosi azzurri assiepati sulle tribune, era Giovanna Trillini, splendida medaglia di bronzo a distanza di ventuno anni dal debutto di Sofia nel 1986, allorquando vinse l’argento nella prova a squadre. Tre turni superati al minuto supplementare con la rumena Roxana-Mariana Barladeanu (11-10), la cinese Lei Zhang (6-5) e la russa Eugyenia Lamonova (9-8), prima del quarto di finale vinto nettamente per 15-4 con la coreana Hyun Hee Nam. Dopodichè la sconfitta con la Vezzali e il terzo posto, che conferma il risultato di un anno fa. Ironica nella sua analisi la campionessa jesina in forza al Corpo Forestale: ''Gli incontri tra italiane sono sempre difficili, forse dovrei allenarmi a San Marino. E’ un bronzo che mi fa felice perché arriva dopo una giornata in cui ho dovuto superare avversarie difficili''. Grande soddisfazione per il Ct Andrea Magro: ''Sono strafelice per tutte. Non mi interessa chi abbia vinto, io alleno la squadra azzurra. Questo è un messaggio per lo sport italiano, l’orgoglio di tre ragazze e di uno staff che oggi ha onorato i colori della nostra bandiera''. Un plauso va anche alla Salvatori, sesta nella classifica finale. Per l’atleta in forza all’Aeronautica Militare è il miglior piazzamento ottenuto nei tre Mondiali fin qui disputati. Con le tre medaglie di oggi la spedizione italiana eguaglia il risultato ottenuto al Mondiale dello scorso anno (1 oro, 3 argenti e 3 bronzi) e punta a fare ancora meglio, così come conferma il presidente federale Giorgio Scarso: ''Al termine delle prove individuali è stato eguagliato il risultato di Torino 2006. Da domani inizieranno le gare a squadre valide per la qualificazione olimpica, dove potremmo migliorare il nostro bottino ma, soprattutto, fare un passo in avanti sulla strada che porta a Pechino. La scherma mondiale ci guarda con grande invidia, ma questo è il frutto di un lavoro che premia gli sforzi della Federazione. Un grazie di cuore alle ragazze, ai maestri e al responsabile d’arma. Ringrazio il Presidente del CONI, Giovanni Petrucci, per i complimenti che mi ha fatto pervenire telefonicamente subito dopo la gara. Il messaggio di questo podio dovrà essere la pari dignità dello sport al femminile''






ONORE AI NOSTRI CADUTI....


ROMA - È morto il sottufficiale del Sismi Lorenzo D'Auria, ricoverato da alcuni giorni all'ospedale militare del Celio dopo essere rimasto ferito gravemente in Afghanistan. L'uomo, insieme ad un altro sottufficiale del servizio di sicurezza militare e ad un loro collaboratore afgano, era stato rapito sabato 22 settembre nell'Afghanistan occidentale nei pressi di Shindand, nell'area posta sotto la competenza italiana nell'ambito della missione multinazionale Isaf.
IL BLITZ - Lunedì 24 era scattato un blitz da parte di forze speciali italiane ed inglesi che aveva portato all'uccisione degli otto sequestratori afgani che tenevano prigionieri i tre, rimasti feriti nel corso dell'operazione. D'Auria aveva riportato le ferite più gravi ed era tenuto in vita in questi giorni all'ospedale militare del Celio solo grazie ad un respiratore artificiale. Meno gravi le condizioni dell'altro operatore del Sismi, che ha riportato la frattura della clavicola sinistra e del collaboratore afgano.


CI STRINGIAMO INTORNO ALLA FAMIGLIA DEL NOSTRO ENNESIMO EROE CADUTO PER TENERO ALTO L'ONORE DEL POPOLO ITALIANO.....

VIA SUBITO...


Sabato 13 Ottobre a Roma grande manifestazione organizzata da Alleanza Nazionale contro il governo Prodi...

ovviamente non possiamo mancare noi giovani per rendere la giornata divertente e goliardica...preparate striscioni,stendardi e qualsiasi cosa che colori la piazza...

Partirà un pullman esclusivamente di Azione Giovani aspettiamo adesioni..

Il presidente di Alleanza nazionale, Gianfranco Fini, ha annunciato che il 13 ottobre An sarà in piazza per la "sicurezza" ma anche per un "fisco giusto" contro "l'oppressione fiscale del governo". "Diamo appuntamento a tutti in piazza a Roma il 13 ottobre - ha detto il leader di An in una recente intervista - per un fisco giusto e per la sicurezza del cittadino. Alleanza nazionale farà la sua parte".

AG PROVINCIALE DI LATINA ORGANIZZA VISITA ALLA FOIBA DI BASOVIZZA E AL SACRARIO MILITARE DI REDIPUGLIA....

NEL FINE SETTIMANA DEL 3/4 NOVEMBRE AZIONE GIOVANI STA' ORGANIZZANDO UNA VISITA ALLA FOIBA DI BASOVIZZA,LUOGO DI MASSIMA ESPRESSIONE DELLA PULIZIA ETNICA SUBITA DAL POPOLO ITALIANO PER MANO DEI PARTIGIANI COMUNISTI JUGOSLAVI,CHE PER TROPPO TEMPO E' STATO TENUTO NASCOSTO NEI LIBRI DI SCUOLA E NELLA COSCIENZA DEL POPOLO ITALIANO......
VENNERO UCCISI PIU' DI DUEMILA ITALIANI NELLA SOLA FOIBA DI BASOVIZZA.
VI INVITIAMO A PARTECIPARE PER CONOSCERE LA STORIA SENZA LA FAZIOSITA' DEI LIBRI DI TESTO.....

La Foiba di Basovizza - Monumento nazionale

La cosiddetta "Foiba di Basovizza" è in verità un pozzo minerario, scavato all'inizio del XX secolo per intercettare una vena di carbone e presto abbandonato per la sua improduttività: esso divenne però nel maggio del 1945 un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili, da parte dei partigiani comunisti di Tito, dapprima destinati ai campi d'internamento allestiti in Slovenia e successivamente processati e giustiziati a Basovizza.
Un documento allegato a un dossier sul comportamento delle truppe jugoslave nella Venezia Giulia durante l'invasione, dossier presentato dalla delegazione italiana alla conferenza di Parigi nel 1941, descrive la tremenda via crucis delle vittime destinate ad essere precipitate nella voragine di Basovizza, dopo essere state prelevate nelle case di Trieste, durante alcuni giorni di un rigido coprifuoco. Lassù arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati. Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l'orlo dell'abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro. Sul fondo chi non trovava morte istantanea dopo un volo di 200 metri, continuava ad agonizzare tra gli spasmi delle ferite e le lacerazioni riportate nella caduta tra gli spuntoni di roccia. Molte vittime erano prima spogliate e seviziate.



Ma chi erano le vittime delle foibe?
Italiani di ogni estrazione: civili, militari, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia e di custodia carceraria, fascisti e antifascisti, membri del Comitato di liberazione nazionale. Contro questi ultimi ci fu una caccia mirata, perché in quel momento rappresentavano gli oppositori più temuti delle mire annessionistiche di Tito. Furono infoibati anche tedeschi vivi e morti, e sloveni anticomunisti. Quante furono le vittime delle foibe? Nessuno lo saprà mai. Di certo non lo sanno neanche gli esecutori delle stragi. Questi non hanno parlato e non parlano. D'altra parte è pensabile che in quel clima di furore omicida e di caos ben poco ci si curasse di tenere la contabilità delle esecuzioni.
Sulla base di vari elementi si calcola che gli infoibati furono alcune migliaia. Più precisamente, secondo lo studioso triestino Raoul Pupo, "il numero degli infoibati può essere calcolato tra i 4 mila e i 5 mila, prendendo come attendibili i libri del sindaco Gianni Bartoli e i dati degli anglo-americani".
Alle vittime delle foibe vanno aggiunti i deportati, anche questi a migliaia, nei lager jugoslavi, dai quali una gran parte non conobbero ritorno. Complessivamente le vittime di quegli anni tragici, soppresse in vario modo da mano slavo-comunista, vengono indicati in 10 mila anche più. Belgrado non ha mai fatto o contestato cifre. Lo stesso Tito però ammise la grande mattanza.
Per quanto riguarda specificamente le persone fatte precipitare nella foiba di Basovizza, è stato fatto un calcolo inusuale e impressionante. Tenendo presente la profondità del pozzo prima e dopo la strage, fu rilevata la differenza di una trentina di metri. Lo spazio volumetrico - indicato sulla stele al Sacrario di Basovizza in 500 metri cubi (poi ridotti a 300) - conterrebbe le salme degli infoibati: oltre duemila vittime. Una cifra agghiacciante. Ma anche se fossero la metà, questa rappresenterebbe pur sempre una strage immane... e a guerra finita!

E i carnefici?
Individui rimasti senza volto. Comunque è ritenuto certo che agirono su direttive dell' OZNA, la famigerata polizia segreta del regime titino, i cui agenti calarono a Trieste con le liste di proscrizione e si servirono di manovalanza locale. Nell'invasione jugoslava di Trieste e di ciò che ne seguì i comunisti locali hanno responsabilità gravissime. In quei giorni le loro squadre con la stella rossa giravano per la città a pestare ad arrestare. Loro elementi formavano il nerbo della "difesa popolare".

Il monumento
Il monumento della foiba di Basovizza è molto semplice: consiste in una lastra in pietra grigia, segnata da una grande croce; sullo zoccolo frontale è riportato un passo della "preghiera dell'infoibato" dettata dall'arcivescovo Antonio Santin. A sinistra è posto un cippo, opera di Tristano Alberti, rappresentante la sezione della cavità con alcune quote delle probabili stratificazioni, al cui centro è appesa una lampada votiva in bronzo collocata dall'Opera mondiale lampade della fraternità. All'interno del recinto, sono stati collocati in tempi successivi altri cippi, il pilo porta-bandiera donati dalle associazioni d'arma e dalle organizzazioni degli esuli giulianodalmati e due targhe: una individua il punto dove è custodito un elenco degli scomparsi in seguito alle deportazioni, l'altra ricorda le visite dei presidenti della Repubblica italiana.
Nel 1980, in seguito all'intervento delle associazioni combattentistiche, patriottiche e dei profughi istriani-fiumani-dalmati, il pozzo di Basovizza e la foiba n.149 vennero riconosciute quali monumenti d'interesse nazionale. Il sito di Basovizza, sistemato dal comune di Trieste, divenne il memoriale per tutte le vittime degli eccidi del 1943 e 1945, ma anche il fulcro di polemiche per il prolungato silenzio e il mancato omaggio delle più alte cariche dello stato. Tale omaggio giunse nel 1991, anno cruciale per la dissoluzione jugoslava e dell'Unione Sovietica, quando a Basovizza si recò l'allora presidente della repubblica Francesco Cossiga, seguito due anni più tardi dal successore Oscar Luigi Scalfaro, che nel 1992 aveva dichiarato il pozzo della miniera "monumento nazionale".



Il Sacrario Militare di Redipuglia



Redipuglia (GO), dallo sloveno "sredij polije" ovvero terra di mezzo" è il più grande Sacrario Militare Italiano e venne realizzato su progetto dell'architetto Giovanni Greppi e dello scultore Giannino Castiglioni. Inaugurato nel 1938, custodisce le salme di 100.000 caduti della Grande Guerra.L'opera, realizzata sulle pendici del Monte Sei Busi, cima aspramente contesa nella prima fase della Grande Guerra, si presenta come uno schieramento militare con alla base la tomba del Duca d'Aosta, Comandante della III Armata, cui fanno ala quelle dei suoi generali.Seguono disposte su ventidue gradoni le salme dei 39.857 caduti identificati.Nell'ultimo gradone, in due grandi tombe comuni ai lati della cappella votiva, riposano le salme di 60.330 Caduti Ignoti.Nella cappella e nelle due sale adiacenti sono custoditi oggetti personali dei soldati italiani e austro-ungheresi.
Il grande mausoleo venne realizzato di fronte al primo Cimitero di Guerra dell III^ Armata sul Colle Sant'Elia che oggi è una sorta di museo all'aperto noto come Parco della Rimembranza.Lungo il viale adornato da alti cipressi, segnano il cammino cippi in pietra carsica con riproduzioni dei cimeli e delle epigrafi che adornavano le tombe del primo sacrario.Sulla sommità del colle un frammento di colonna romana, proveniente dagli scavi di Aquileia, celebra la memoria dei caduti di tutte le guerre, "senza distinzione di tempi e di fortune".


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